sabato 16 agosto 2008

In ricordo

Poesie di...
Emiliano Moncia, R.I.P.

Come ti penso stasera, Allen Ginsberg

come ti penso stasera Allen Ginsberg, che attraverso i carrugi
coi sacchetti della spesa tra le mani e con l’occhio alla luna,
che affamato di fatica mi sono infilato all’Ipercoop a comprare
frutta al neon, pesche e ombre! famiglie a far provviste per la sera,
scaffali ricolmi di mariti! mogli inscatolate e bimbi incellophanati:
ti ho visto, Allen Ginsberg, senza figli, vecchio frocio puttaniere,
che t’appigli alle carni del frigo per slumare i garzoni del droghiere
ti ho udito, te, chiedere in giro: chi ha stecchito le cotolette di maiale?
quanto vanno al chilo le banane? e il mio angelo custode, quanto vale?
dove andiamo stasera, Allen Ginsberg? dove punta stasera la tua barba?
così cammino coi sacchetti della spesa tra le mani, e mentre canto
le luci nelle case spente aggiungono ombre alla mia ombra,
io e te ci sentiamo soli
torneremo mai laggiù a puntare alla perduta America
dalla prua di una barca, anche ora che silenziosa è la tua elica?
ah caro padre, lunga barba nera, vecchio solitario maestro di coraggio
quante New York ho bagnato nel Lete in questo giorno di maggio
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Cucimi col sale certe affrettate
ferite, così da poter dormire
più di tutti, più tranquillo: sgraffiato
d'amore, da non saperci guarire.
Stanotte la fuliggine scrostata,
che ti cadeva sul cuore a rapire
questa tua piccola voce sgraziata,
ci si scivola in un lento sfoltire.
Ed ecco come ti sento: leggera,
quasi il ramignolo del rosmarino
sottovaso. Tu cucimi la sera
sulla schiena; la fodera di lino
già sgrana un copriletto di preghiera
e il grigiofumo della vita strina.
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Scherzo sopra Edoardo


Mia esca liscia, lascio che
tu non mi scomponga a una lisca,
sconsolandomi; e
non ti chiedo mica di
consolidarmi (tu non mi avvolgi),
se non ti volti dalle
tue logge. Ti spremi e poi
non respiri: non esprimi.
E non mi succhi i cocci
con la tua voce chioccia
e sciocca, ascolta perché
non t'argenti e non schiocchi.
Mi lasci, me che ti spero,
me che ti scoppio e non
ti spoglio i seni;
mi scontenti,
mio sonetto imperfetto,
motivetto a cui non parlo
e non canto.
E ti pianto, t'osservo,
ti ossequio i miei ossari
che tu non conti.
M'incanti ancora, come
i serpenti e i santuari.
E ti cerco, non ti sporco:
ti cedo e mi spreco, me che non ti assaggio.
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Con un'inconsistenza tale

da permettere ad ogni sillaba

di tenersi alla riva e di

non arenarsi negli spasimi

del sonno e della quiete marina

si attorcinano attorno

alla mia vita

le tue debolissime lettere d'amore
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Inverno


come quella volta che ho visto la neve in inverno
e tre cani che si lisciavano il pelo corto e bruno
e la vicina che vestita solo di una camicia aperta
usciva a stendere al sole le magliette del marito


il vento del mattino mio complice si opponeva
sollevandole la camicia e i seni rossi e pieni che
come due occhi l’avvertivano di lasciar perdere
scoppiando a ridere mentre si copriva e io di lei
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quattro amici


per la tristezza occorrono amanti che rasserenino
ti sussurrano cose così primaverili e assolate
che ti fanno scordare tutto come fossero d’oppio
ma oggi la mia amante si chiama solitudine
nelle giornate buone tutto è buono
e uscire nel mondo è come uscire da scuola
con ogni cosa faccio baldoria
io ho quattro amici che sono come quattro
quieti luoghi in cime a queste colline morte
quattro soste all’ombra dopo una passeggiata
li vedo quando capita e ci sto come si sta
accanto alla fontana a sentire l’acqua tremare
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lampi e istanti


l’impoetico si rivela a lampi,
si raggomitola sulle impercepite
nuove cose da cui siamo sommersi,
da sopra e da sotto il mondo:

possa il verso mio divenire pop,
acuto alla prosa, al gesto utile,
al lavoro sul layout di stampa,
possa il mio canto contenersi in un floppy;

oggi i frammenti vengono serviti
in istanti e devi stare attento tu,
se puoi, come tanti e non come tutti,
a durare poco più oltre quel vento
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L'eclisse


versami ancora soltanto uno sbuffo
asciugato di vento sulla schiena
e prosegui da sola, dolce compagna di stanza,
lungo tutta questa strada il viaggio sognato
nell'adolescenza: l'impazzata di lingue mi ha stancato
proseguimi tu il viaggio e stai certa che
non ti appannerai più con i tuoi stracci
di dubbio il cammino, perché i tuoi occhi
sapranno sbiancare il grigio viavai
di stanchezza, lo stesso che asfaltò e così bene
la mia ombra e la mia voce;
non sconterà mai più la notte la tua mano
che non indietreggia, mai sarà perduta
in un incantesimo smorto di luci;
e non ti pioverà in bocca, non un gancio di chiodi
o un lume spezzato sentirai torturarti
nelle piccole nenie dell'inverno - e se la luna,
gracchiando si aprirà dal buio, sarà solo un auspicio
del viaggio - proseguimi tu questo viaggio
e passami accanto ch'io ti guardi; e se il passo dovesse
stancarti i seni e le labbra potrai solo sfiorarmi,
e darmi tu le dita: altro non ti mostrerò se non il soffio,
sul mare calmissimo, dell'eclisse;
sarà uno smembrare d'incensi ovunque,
e fumi di rassegnazione inalarsi in chiunque, sottovoce;
tu resisti: non seguire in silenzio l'eclisse, ché a chi ha
diretto uno sguardo a due passi di danza da lei
tutto s'è annerito, e un acre fischio lunghissimo
s'è sparso nel vento, lanciato verso l'ognidove

oh partire smarrendo le direzioni,
i punti di stacco e d'approdo, l'abbraccio
incrociato per sbaglio all'eclisse sottovento,
il curvare silenzioso di grappoli d'occhi...
tu dovrai alzarmeli, questi tuoi occhi;
l'acqua che ne è uscita mi cola ancora sulla schiena

versami tranquilla uno sbuffo asciugato di vento
perché non sorga dall'acqua, di nuovo, un'eclisse
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Emiliano Moncia [1973-2007]
r.i.p.

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