sabato 27 dicembre 2014

Bambini malati e anziani fragili, i poeti siete voi



Il poeta nicaraguense Ernesto Cardenal (Granada, 1925).
Il poeta nicaraguense Ernesto Cardenal (Granada, 1925).

Si sono incontrati una sera di ottobre a Milano. C’erano infermieri, psicologi, medici. E poeti. Erano lì per contarsi e partire per un’avventura che li coinvolgerà e che probabilmente non li lascerà più come prima. Sono quelli che hanno risposto all’appello per diventare «Poeti FuoriStrada», portatori di poesia in territori del disagio come i reparti di oncologia pediatrica e le case per anziani.

Il progetto.
A chiamarli a raccolta è stato Giuseppe Masera, oggi in pensione ma per tanti anni direttore della Clinica pediatrica Università Milano Bicocca San Gerardo di Monza. Si è messo in testa, assieme ad altri visionari del bene come lui – Comitato Maria Letizia Verga e Fondazione Tettamanti – di replicare anche in Italia l’esperienza dei «Talleres de Poesía» di Ernesto Cardenal. Il sacerdote-poeta nicaraguense negli anni Ottanta era diventato ministro della cultura del nuovo governo sandinista e aveva avviato un programma di lotta all’analfabetismo e realizzato laboratori di poesia aperti a tutti i cittadini (militari, pescatori, contadini). L’esperimento funziona e anni dopo, nel 2004, sarà proprio il medico italiano a chiedere a Cardenal di portare i suoi «Talleres» fra i bambini malati di cancro dell’ospedale La Mascota di Managua (con cui il San Gerardo di Monza aveva istituito un gemellaggio). Nel 2009 prenderà avvio un’esperienza analoga anche al San Gerardo, da cui è nata la raccolta di poesie pubblicata da Rizzoli «I sogni son come conchiglie».

Il metodo. 
Quello presentato l’altra sera, però, è un progetto più ampio che partirà a Monza e Milano e arriverà anche a Genova, Bologna, Roma, Matera, Catanzaro e altre città. «Il nostro metodo di lavoro sarà preso in prestito dai Talleres di Cardenal», si legge nel Manifesto dei Poeti FuoriStrada, «per lui in ciascun essere umano esiste un poeta potenziale in grado di esprimersi senza necessariamente seguire i canoni della poesia tradizionale ma servendosi del verso Libero. Una poesia obiettiva, narrativa e aneddotica, fatta con gli elementi del mondo reale e con cose concrete».
«Todo es poesìa», scriveva uno dei bambini di Cardenal, malato di cancro a 7 anni; è poesia anche se in un verso ci finisce la parola «vomito» e in un altro «diarrea», perché è la vita, nella fase meno bella e forse anche ultima, ma che grazie alla poesia diventa più umana e sopportabile.

L’obiettivo. 
Quantificare tutto questo non è facile ma c’è anche un aspetto di sperimentazione-ricerca nel progetto che vede la partecipazione di poeti e clinici, ricercatori. «È lecito aspettarsi un valore terapeutico dallo scrivere in poesia», spiega Giuseppe Masera, «è importante dimostrare che funzioni, registrare il quid di benessere che nei pazienti deriva dal riflettere, dall’esprimersi e dall’essere ascoltati».

La scienza. 
Sul valore del progetto non ha dubbi Marcello Cesa Bianchi, luminare della Psicologia italiana e membro del comitato scientifico di Poeti FuoriStrada. «La medicina e la psicologia hanno messo in evidenza aspetti positivi delle terapie che utilizzano strumenti di tipo artistico – musica, disegno, danza – che possono favorire la resilienza (la crescita positiva dopo il trauma della malattia, ndr)», spiega il professore, interessato alla estensione del progetto al mondo degli anziani. «Mi occupo di psicologia legata ai processi di invecchiamento e la possibilità di trovare espressioni creative e poetiche in situazioni difficili sembra avere significato nel rallentare il decadimento progressivo». Il professore cita il concetto, che si sta affermando, di «ultima creatività». «La vita è fatta di tanti episodi ma l’ultimo può dare senso a quelli prima, far cogliere aspetti di sé che si erano ignorati», spiega, «così un progetto come questo sulla poesia può costituire un antidoto a quella “afasia dei sentimenti” che non è ancora valutata in termini tradizionali».

I «facilitatori».  
Il ruolo più importante, quindi, lo avranno i poeti e quei «facilitatori di poesia» che aiuteranno persone in situazioni di fragilità a esprimersi attraverso il verso libero. «Chi scrive testi poetici e si trova in una situazione di vita che forse si interromperà da un momento all’altro non si pone in una prospettiva di poesia da hobby del weekend o di premio letterario», ragiona Guido Oldani, poeta fondatore del Realismo Terminale e anch’egli membro del comitato scientifico, «si trova invece in un rapporto vis à vis, o muro contro muro, con la verità; qui non si bluffa, non c’è gioco letterario, è un momento di ricerca non inquinabile». E siccome è poeta, riassume poeticamente: «Questa prospettiva mi provoca il fascino di chi va a cercare funghi e sa che ne troverà di buoni».

L’impegno. 
Quella serata di ottobre si è conclusa con tante persone che hanno scritto il loro nome impegnandosi a fare la loro parte nel progetto. C’era la poetessa Antonetta Carrabs che aveva già dato vita a un laboratorio a Monza nel 2009, c’era il poeta-editore Milton Fernandez, che lavorerà a Milano, c’era un professionista della comunicazione di Novara e uno dei «100mila poeti per il cambiamento» di Bologna, l’associazione che ha già portato la poesia fra i migranti sbarcati a Lampedusa. E c’era anche un chirurgo vascolare, uno di quelli che operano bambini con angiomi gravemente deturpanti – «mostri» qualcuno ancora li chiama – e vorrebbe che si portasse anche a loro la bellezza della poesia.
Per tutti, l’impegno della gratuità e della costanza, perché «ai bambini – ricorda Masera – si può dare buca solo con il certificato di morte!» La ricompensa sta nel privilegio di aver vissuto un’esperienza preziosa che Cardenal così riassume: «Io non aspetto il Giorno del Giudizio Finale con particolare ottimismo ma prevedo che una delle poche cose positive che mi verrà detta sarà: io ero un bambino malato di cancro e tu mi hai insegnato a far poesia».

Sara Ricotta Voza
(
@sara_voza - La Stampa)


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